La fase storica nella quale siamo immersi è senza dubbio particolarmente complessa. Non che i decenni che ci hanno preceduto non avessero una loro complessità di fondo, ma le dinamiche e le relazioni che governano i processi politici, sociali, economici e finanziari, recano in sé alcune peculiarità che le distinguono nettamente da quanto abbiamo visto e vissuto negli ultimi trent’anni.
Non che vadano ricercate novità di chissà quale entità, il gioco ha sempre le stesse regole, solo che il campo è più ampio, e la posta in gioco è incredibilmente più alta. Ma non si può analizzare nulla senza gli strumenti adeguati e quando ci si accinge ad analizzare una fase politica, è un fatto, che dagli strumenti di osservazione dipendono, non solo la precisione della lettura, ma le conseguenze in termini di azioni per contrastare una qualsivoglia deriva.
Come è noto per osservare le stelle si usano i telescopi e non i microscopi, ma una questione tanto banale, se posta in questi termini, comincia a non esserlo più e nel momento in cui si leggono documenti politici che avrebbero la pretesa di spiegare fasi storiche, nei quali vengono usati strumenti totalmente inadatti.
Questa introduzione si rende necessaria per capire su quali motivazioni viene ora mossa una critica al tentativo (ennesimo oramai) di cavare conigli dal cilindro, che oggi assume il nome di Coalizione Sociale. Non è intenzione di chi scrive denigrare o sbeffeggiare nessuno, solo che è bene cercare di inquadrare il problema anche con l’ausilio di opportune metafore. L’azione parlamentare è assolutamente funzionale alla preservazione di interessi totalmente inconciliabili con quelle della collettività, e in più i pesi e i contrappesi del potere sono orrendamente in balia di un coacervo di personaggi grotteschi. In questo scenario non v’è traccia di alcun tipo di dibattito. Le opposizioni hanno trovato un equilibrato “compromesso” che ha consentito loro di sedere al governo assieme, con buona pace del compromesso storico che vide ben altri esiti.
Quindi in questo scenario nel quale non bastano 109 parlamentari per imporre un’agenda politica al dibattito parlamentare, ci si chiede cosa spera di poter fare una sommatoria stantia e senza slancio come quella che sta formandosi in questi giorni. Se da un lato abbiamo l’esperienza dei partiti, con una tradizione lunga quanto la storia del paese nel garantire una serie di interessi, industriali, finanziari e cooperativi, dall’altro abbiamo gli ibridi indecifrabili che assumono il peggio dei partiti e il peggio dell’inconsistenza delle associazioni di scopo, quindi pur avendo i numeri non riescono ad agire, in quanto non hanno una linea e un programma. In questo dualismo tutto italico, dovrebbe inserirsi l’ennesimo tentativo di ricomposizione di una “estrema sinistra parlamentare” che non avendo altro scopo nella vita che tentare la sorte nella sfida elettorale tenta ad ogni occasione di rilanciare un’improbabile appello all’unità. Questa volta il tentativo viene gestito da personaggi che non avendo più potere all’interno di un sindacato tentano la carta elettorale. Ci si candida quindi perché non si sa fare altro nella vita, perché non si riesce a superare una logica che impone solo una scelta, o più semplicemente ci si candida in quanto non si sa fare altro nella vita. Una frustrazione di fondo che rende necessario il rilancio periodico di una piattaforma di sinistra, per arginare la barbarie, per cambiare le cose, e via dicendo con una sfilza di perché, assolutamente contraddittori che tentano, maldestramente di celare le ragioni di gruppi politici totalmente inadeguati, che basano i loro programmi su letture che palesano la loro progressiva perdita di aderenza con la realtà.
Se si può trovare una “giustificazione” nei grossi partiti, che piaccia o meno, portano acqua ad un sistema, sono quindi funzionali alla logica di mercato il ché li rende quantomeno dei meccanismo logici, trovo chi mi raccatta voti, ho un elettorali di riferimento, cerco di imbonirmi la classe media cavalcando le miserie congiunturali, e una volta raggiunto lo scopo, mi dedico ad onorare gli accordi preelettorali. Ma l’infinita costellazione di residui del PCI non riesce nemmeno ad essere portatore d’acqua per qualcuno, il che, sempre all’interno di una logica squisitamente mercatale, li pone al livello zero di interazione con il territorio che li circonda
Questo ci porta ad una prima conclusione, nell’affermare che i soggetti che ogni due o tre anni formano una nuova creatura a sinistra di qualcuno, non muovono interessi economici, quindi si potrebbe pensare che la scommessa elettorale sia un mezzo per entrare nel circolo di quelli che contano; non muovono interessi sociali, dal momento che dalla società sono così scollegati da aver perso ogni metro di misura per capirla; non muovono interessi territoriali essendo lontani anni luce dalle strade e dai quartieri, lontani dal conflitto per la riappropriazione di beni comuni o la preservazione dell’integrità ambientale ecc. ecc.
Ci si limita a costruire un contenitore, sperando che i movimenti e la genuinità di chi opera nella realtà quotidiana corra a riempirlo, ma in maniera ordinata e senza aspettative di poter mutare programmi e intenti.
Metodi antiquati di analisi, strumenti inadatti a capire la società, visioni troppo parziali per comprendere la complessità di una fase storica che fa dell’isteria la coperta sotto cui si muovono logiche precise. Il principio dell’inadeguatezza spinge questo coacervo di residuati ad escogitare nuove strategie per recuperare qualcosa sul piano del fallimento. Si parla di quadri di partiti estinti o di sindacalisti rimasti senza maggioranza all’interno dl loro circuito. Da tale assembramento, è assai improbabile attendersi qualche operazione che possa avere un prospettiva di rottura con la fase storica, di cambio di paradigma; proprio per quella mancanza di analisi contingenziata col reale che ne mina l’essenza. Proprio perché viziati dalla contradizione di fondo del dover esserci a tutti i costi, del doversi candidare per necessità, una necessità dettata dalla loro stessa inettitudine.
Gente abile a parlare sotto i riflettori, ma assolutamente inadeguata a capire il mondo che li circonda. Sospinti dalla droga del consenso cercano in tutti i modi di abbindolare qualche nostalgico, cercano di riscuotere consensi mirando a parole d’ordine, ormai orfane di significato e sempre più vuote, tirate fuori sempre in momenti strategici; o prima delle elezioni, oppure in aperto conflitto con un governante in affanno, una sorta di sciacallaggio, esseri pronti ad addentare il mastodonte in agonia per poter affermare di aver partecipato alla lotta. Ma il pericolo esiste ed è sempre dietro l’angolo, perché questi signori, approfittano sempre di quello che gonfia le colonne dei giornali o che infesta il web, quindi come segugi affamati, battono i sentieri della notizia, alla ricerca dell’evento che può dare una smacchiata alle loro coscienze. Fino a qualche anno fa ce li si ritrovava dentro alle vertenze movimentiste, oggi nemmeno quello, puntano dritti alla tornata elettorale con l’arma dell’esser contro, sperando che la logica della contrarietà, possa adombrare la totale mancanza di proposte. Quindi è questo il sottobosco dal quale trae origine questa “nuova” proposta politica, una sommatoria di soggettività che sta a lambiccarsi il cervello, tentando di battere il nemico sul suo stesso campo di gioco, sperando che la mediatizzazione del fenomeno decuplichi la sua portata. Sperando che il web riesca a colmare le lacune semplicemente grazie alla sua presunta penetrazione sociale. Ma dimenticano i signori in questione, che l’informazione prima di tutto viene incamerata solo da chi è disposto ad ascoltare, tutti gli altri cambiano canale o semplicemente non visitano i sito. Quindi la sbornia mediatica crolla davanti alla scelta dell’uomo medio di aprire o no una pagina e di scegliere tra li annunci economici o la visione di film in streaming. Quindi il web e l’informazione istantanea non sono la soluzione se dietro non c’è l’ombra di un processo che ristabilisce un prospettiva e riapre alla riacquisizione di un orizzonte di senso che favorisce l’immaginazione di un mondo alternativo. Tutto questo è solo una sorta di paccottiglia della quale liberarsi, in quanto l’estremismo turba l’elettore, che è sempre più incline alla condanna; pur di raschiare il fondo del barile in santa pace. Alla fine tutti i compromessi accettati per fasi accettare, hanno mostra la loro inesorabile conseguenza, ossia il progressivo snaturamento delle istanze di partenza, ce seppur criticabili avevano se non altro la dignità della visione altra. Quindi rifiutata l’alterità del pensiero e abbracciando il mantra del consenso, non c’è d meravigliarsi se le azioni finiscono non per essere ostative a qualche processo, ma funzionali ad uno scopo.
J. R.